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Adesso butto giù un raccontino che spero faccia piacere a Carib.e, per completare la raccolta, ed agli altri per alcune situazioni insolite verificatesi.

NELL’OCCHIO DEL CICLONE

Cocoloco - 10/05/2005

Io ed il mio amico Pippo ci eravamo svegliati presto quella mattina. La terza camera del nostro appartamento nell’hotel Las Terrazas era rimasta inutilizzata la notte prima. Philippe, il nostro compagno di viaggio che l’occupava, si era dovuto sacrificare per scoprire se le due giovani tedesche conosciute nella discoteca dell’hotel fossero veramente lesbiche come sembravano. Lui sosteneva che non lo erano, io e Pippo ne eravamo convinti. Avevamo scommesso ed aveva perso. La più brutta delle due gli aveva confessato il suo duraturo rapporto omosessuale con l’amica mentre provavano un discreto numero di posizioni indicate nel Kamasutra. Poverino. Oltre alla scommessa ed allo spreco di energie si era perso pure la tanto imprevista quanto indimenticabile visita di Olga. Era proprio bella Olga. Bella e simpatica. Alta, mulatta, lunghi capelli ed occhioni neri. Altro che le tedesche! Ero contento di non aver ceduto alla tentazione di mandarla a quel paese quando mi aveva detto che si sarebbe presto sposata con un tecnico della Ferrari. La passione per il cavallino rampante ed un certo senso di solidarietà patriottica mi avevano per un attimo fatto dubitare della mia attrazione verso quella splendida mulatta. Una bottiglia di ron ed un paio di balli avevano dissolto i miei scrupoli e lei mi aveva raggiunto nella 403, il più bell’appartamento dell’hotel dove lo stesso custode che l’aveva accompagnata, era venuto a riprenderla prima dell’alba.

Un vero amico el Bigote. Servizio in camera a soli 10$

Dopo una rapida doccia Partimmo alla ricerca di Philippe, era il suo ultimo giorno sull’isola e volevamo che lo sfruttasse al massimo. Lo trovammo al ristorante dell’hotel, faceva colazione insieme alle due tedesche. Quella che aveva passato la notte da sola, la più carina delle due, sembrava arrabbiata, non proferiva una sola parola. Meno male, pensammo mentre ci sedevamo al loro tavolo vicino alla piscina. Ci saremmo risparmiati complicati tentativi di discussione già vanamente tentati la sera prima in varie lingue. L’appetito e le frittate con formaggio e prosciutto erano discreti, ci abbuffammo e ci precipitammo in spiaggia.

Appena arrivati ci rendemmo conto che sarebbe stato impossibile rimanerci, il vento era troppo forte e la sabbia che sollevava entrava violentemente negli occhi, nelle orecchie ed anche in bocca quando si tentava di parlare. Michel stava arrivando. Il ciclone dell’anno o del decennio, il mostro dalle traiettorie imprevedibili sarebbe passato da quelle parti. Non si sapeva con precisione quando.

Ci rifugiammo in un angolo del chiosco di fronte alla pizzeria Pronto-Pronto ed iniziammo come al solito a bere Mojitos. Eravamo i migliori e più amati clienti di quel posto dove riuscivamo a spendere anche più di 90$ di bevande ogni pomeriggio. Quel giorno avremmo sicuramente migliorato la nostra media, sia perché c’erano due bocche in più, le tedesche avevano un buon ritmo, sia perché avevamo dato inizio ai bagordi molto prima del solito.

Erano da poco passate le 11, ci restava poco tempo da trascorrere insieme. Il volo dell’Iberia con il quale Philippe ci avrebbe lasciato era previsto alle 23.30

Bevevamo e parlavamo. Philippe traduceva per tutti, più bevevamo meno traduceva. Poteri dell’alcol! Quando il tavolo era già pieno di bicchieri vuoti iniziò a piovere, i pochi altri clienti se ne andarono e restammo soli sotto il tetto di guano. La simpatica negra che ci preparava i Mojitos, oramai ci adorava come non mai. Acconsenti sorridente alla nostra richiesta di aumentare al massimo il volume dello stereo ed iniziammo a ballare. Le tedesche si muovevano discretamente e soprattutto si impegnavano ad imitare tutti i movimenti più sensuali della salsa. Faceva caldo. Molto caldo, nonostante l’intensità del vento e della pioggia fossero aumentati.

Bevevamo e ballavamo. Bevevamo e ridevamo. Bagnati di pioggia e di sudore, seminudi (anche le tedesche) e completamente ubriachi, decidemmo di fare una pausa per ingurgitare qualcosa di solido. Panini e pollo fritto affogarono nel mare di Mojitos.

Si fermò un tur dal quale scese un cubano che comprò alcune Cristal mentre la sua bella, rimasta nell’auto, ci guardava come se venissimo da un’altro pianeta. Forse aveva ragione.

In quel momento pensai che quel ragazzo era l’unico altro cliente entrato in quel posto da ore ed il suo carro il solo che ricordavo di aver visto transitare già da prima di aver ordinato i polli fritti. Il cubano ripartì sgommando nella strada deserta ed inondata e noi riprendemmo a bere ad a ballare. Anzi riprendemmo a ballare visto che di bere non avevamo mai smesso.

La pioggia era oramai scrosciante, la barista innamorata ci preparava i Mojitos in spessi e pesanti bicchieri che meglio potevano sopportare in posizione verticale le sempre più violente raffiche di vento. Continuavamo a dimenarci, i corpi sempre più caldi, bagnati e vicini. Le tedesche, oramai completamente scatenate, si lasciavano andare a strofinii di ogni tipo degni della più disinvolta jinetera. C'era eccitazione nell'aria, ed anche un po' più giù.

Improvvisamente dal nulla si materializzò un camion dal quale scesero un paio di baffuti che, con aria molto seria e senza degnarci di uno sguardo, si diressero verso la dueña. Le sedie di plastica ed un vecchio congelatore vennero caricati sul camion e portati via. Era la protezione civile.

Poco dopo una carpetera dell'hotel ci venne a cercare e ci comunicò che saremmo stati evacuati prima di notte in quanto il passaggio del terribile Michel era oramai prossimo. Ci consigliò di preparare i nostri bagagli e di tenerci pronti, un pullman ci avrebbe condotto in un luogo sicuro ma ancora sconosciuto.

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Ca..volo come sono prolisso Un fiume di parole e non sono ancora arrivato alla parte più curiosa e surreale di quel lungo giorno. Domani continuo...se vi piace. Altrimenti ditemelo. Mi risparmio la fatica e a voi lo strazio.

11/05/2005

Proseguo il racconto...vediamo dove arrivo

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Philippe ritrovò immediatamente una discreta lucidità e cominciò a preoccuparsi per la possibilità che il volo con il quale doveva assolutamente tornare ai suoi improrogabili impegni professionali venisse cancellato. Si allontanò sotto al diluvio dicendoci che andava a telefonare per avere informazioni sulla situazione voli. Preoccupato per quanto gli era stato comunicato, recuperata la sua valigia già pronta, era scappato all’aeroporto con uno degli ultimi taxi disponibili. In un biglietto che lasciò sopra il tavolo del salone nel nostro appartamento aveva scritto: Vi chiamo dopo dall’aeroporto. Maledetto Michel !

Non lo avremmo più rivisto. Ricevemmo sue notizie solo 3 giorni dopo, quando anche la situazione telefonica si normalizzò. Era riuscito a partire, come previsto, la stessa sera. Il suo fu l’ultimo volo che decollò dal José Marti che rimase chiuso per tutto il giorno seguente.

Insieme alle tedesche ritornammo nei nostri rispettivi alloggi e preparammo in fretta e furia i bagagli che trasportammo nella lobby dell’hotel. Le nostre compagne di borrachera erano già li.

L’ambiente era teso. C’era molta confusione e nervosismo oltre alla totale mancanza di informazioni relative al passaggio di Michel e del pulmino che ci avrebbe condotti nel misterioso posto sicuro. Il nostro tasso alcolico non ci permetteva di sopportare cotanta agitazione, quindi decidemmo di tornare alla nostra precedente occupazione : i Mojitos. Correndo ed evitando le pozzanghere più profonde ritrovammo la nostra beneamata mescitrice rimasta imperturbabile al suo posto.

Questo chiosco ha già sopportato cicloni di quarto livello. Non preoccupatevi! Ci disse serena la nostra amica cubana.

Rassicurati ordinammo altri Mojitos e le ragazze ripresero le danze mentre noi osservavamo un gruppetto di persone che alacremente incollavano delle strisce di nastro adesivo per imballaggi sui vetri delle finestre e delle porte. Grandi e sinistre X grigie o marroni si intravedevano un po’ dappertutto. Non avevo mai visto dei cubani lavorare cosi velocemente. Fecero un buon lavoro.

La musica proveniente dallo stereo a tutto volume riusciva ancora a sopraffare gli ululati del vento che piegava le palme e rimodellava la spiaggia. Le nostre amiche avevano ripreso a scatenarsi sempre più disinibite nel bel mezzo di quella che somigliava oramai ad una pista da ballo, anche i tavoli erano stati rimossi ed ammucchiati in un angolo del chiosco. I loro movimenti erano sempre più sfacciatamente sensuali. Si sfioravano, si toccavano, si baciavano. Apparivano più carine con le loro magliette inzuppate che aderivano perfettamente ai loro corpi le cui grazie venivano nascoste solo dalla mutandina da bagno nascosta tra le abbondanti natiche. Stavamo valutando la possibilità di andare ad attendere nelle loro stanze l’arrivo del famoso autocarro quando sopraggiunse una patrulla dalla quale scesero tre giovani poliziotti. Due mulatti ed un nero che si avvicinarono al bancone dopo averci salutato portando la mano destra alla fronte. Parlottarono con la dueña seguendo discretamente le evoluzioni delle ragazze che, imperterrite, continuavano il loro show. Confortato dagli sguardi, tutt’altro che infastiditi, che i tutori dell’ordine rivolgevano a quei corpi scatenati, chiesi informazioni a proposito del ciclone ed li invitai a bere.

Non erano molto informati quanto a Michel ma apprezzarono il rum che bevevano puro. Dopo ogni trago nascondevano i bicchieri dietro al bancone dove provvedevo personalmente al riempimento.

Feci segno alle ragazze di avvicinarsi indicando i loro bicchieri di nuovo colmi. Non ci pensarono un solo istante. Presero i loro bicchieri e ne tracannarono il contenuto in una sola, devastante sorsata. Subito dopo afferrarono le mani dei poliziotti invitandoli a ballare.

In quell’attimo ricordo di aver immaginato mille sviluppi, mille diverse situazioni. Loro devono aver fatto lo stesso. Voglia, stupore ed eccitazione si intuivano negli sguardi che si scambiavano. Non potettero resistere, anche perché le "energumene" li trascinarono di forza, o quasi, nel centro della pista. Mi affidarono i loro copricapo ed iniziarono a muovere qualche passo ancora sorpresi ed un po’ intimiditi.

Dallo sguardo che Pippo, compagno di mille viaggi ed avventure, mi rivolse, intuii che stavamo assistendo ad uno spettacolo straordinario ed anche un po’ grottesco. I tanto temuti poliziotti che imperversavano a playa del Est di giorno e a Guanabo di notte stavano ballando in uniforme con due turiste lesbiche e completamente sbronze davanti ai nostri occhi.

Mi avvicinai ai ballerini con la bottiglia in mano e gli versai abbondanti sorsate di rum nelle bocche spalancate. Oramai eravamo amici, le ragazze molto di più. Ripetevo questa operazione con frequenza. Eravamo soli al mondo ed il mondo rischiava di caderci addosso.

Si tolsero gli scarponi d’ordinanza ed i calzini prima di arrotolarsi i pantaloni fino al ginocchio. Si sbottonarono le camicie ma non osarono fare lo stesso con la patta dei pantaloni nonostante le tedesche facevano di tutto affinché ciò avvenisse.

Oramai erano cotti. Sicuramente quei giovani orientali non avevano mai immaginato niente di simile e probabilmente non gli si sarebbe mai ripresentata una simile occasione.

All’improvviso, prima di aver scolato la seconda bottiglia, quando l’eccitazione aveva raggiunto livelli palpabili (non trovo un termine più appropriato) sentimmo delle grida provenire dall’hotel. Nel frastuono provocato dalla pioggia e dal vento intuimmo, soprattutto per gli ampi gesti che ci facevano, che il tanto atteso pullman era arrivato.

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Se non vi siete annoiati, forse ci sarà un seguito.

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14/05/2005

Vabbé ci provo. E' un po' tardi ed ho esagerato con i cubalibre. Vediamo cosa ne esce fuori.

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Pagammo il conto e salutammo la dueña che avrebbe acceso una candela alla Virgen del cobre per ringraziarla di averci mandato li. Stringemmo le mani degli impietriti poliziotti che avrebbero maledetto Elleguà per non avergli aperto le porte del cammino che passava tra le gambe delle tedesche e ci avviammo rapidamente verso l'hotel.

Recuperati i bagagli e salutate le simpatiche carpeteras, complici discrete di tante avventure, salimmo su uno dei quattro fiammanti autobus Mercedes che avrebbero trasportato gli "sfollati".

Ci accomodammo nei sedili più vicini all'autista e perdemmo di vista le scatenate germaniche.

La temperatura all'interno del mezzo era vicina allo 0, i cubani non risparmiano sull'aria condizionata. Delle anime buone ci prestarono un paio di asciugamani con i quali ci coprimmo alla meglio.

Appena l'autocarro si mosse sprofondai nelle braccia di morfeo, o forse in un profondo coma etilico. Mi risvegliai solo all'arrivo grazie ad una gomitata che Pippo mi assestò alle costole. Eravamo arrivati al rifugio, il luogo sicuro. La Villa Panamericana, un complesso costruito, pochi anni prima, per ospitare gli atleti che avevano partecipato agli omonimi giochi.

Nel salone all'ingresso si agitava e si accalcava una marea di gente, tutti gli sfollati degli hoteles delle vicine spiagge.

Ci assegnarono un appartamento che raggiungemmo dopo una lunga ricerca tra viali inondati e palme pericolanti. L'alloggio era grandissimo. Tre camere, un salone, un bagno e una cucina, tutti allagati. Tutti i vetri delle finestre erano rotti e la pioggia aveva già trasformato i materassi in enormi spugne immerse in una piscina. L'unico posto asciutto della casa era il piccolo bagno privo di finestre. Ci interrogammo con lo sguardo consapevoli che sarebbe stato difficile dormire in quel posto in quelle condizioni. Ancor più difficile sarebbe stato fare una reclamación o ottenere qualcosa di diverso. Decidemmo di farci una bella e ritemprante doccia calda per poi indossare degli abiti asciutti, riuscimmo a soddisfare solo il secondo intento per mancanza di acqua calda. Quella fredda usciva goccia a goccia. Tornammo ad incorporarci nella marea umana che ondeggiava nel salone. L'unico telefono pubblico era fuori servizio, cosa che fece imbestialire ancor di più Pippo che voleva tranquillizzare sua moglie sapendola preoccupata per le notizie che i vari telegiornali, anche italiani, riportavano su Michel.

Vagavamo silenziosi tra la folla ascoltando le lamentele ed indovinando l'agitazione della gente scrutando i loro sguardi.

All'improvviso un sinistro rumore attirò l'attenzione della marea umana e ne placó istantaneamente il fastidioso brusio. La copertura d'alluminio del tetto dell'ingresso venne spazzata via dal vento. Poco dopo rimanemmo al buio. Michel era li, sopra e sotto tutto e tutti, intorno a noi. Rumoroso e potente. Il mare sali al cielo e gli elementi si fusero. L'aria era acqua. Rami di palme, teloni, scatole, cartelli e quant'altro svolazzavano nel cielo viola spinti dal vento. Le grida di Michel, i suoi colori, i suoi odori erano impressionanti. Non ricordo bene quanto durò, due ore, forse meno. Anche il tempo, come noi, era stato stregato e stravolto da quella straordinaria manifestazione di energia pura.

Amici scusate ma vado a nanna.

Se vi và, appena potrò, vi racconterò un paio di episodi curiosi verificatisi quella notte e come si presentava l'Avana il giorno dopo.

Buonanotte

P.s. E' stata sicuramente un'esperienza indimenticabile e straordinaria difficile da raccontare trasmettendo le sensazioni provate. Qualcuno era sul posto quel giorno? Mi piacerebbe confrontare le sue sensazioni con le mie.

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15/05/2005

Concludo rapidamente raccontando alcuni episodi che ricordo con piacere e una breve descrizione dell'Avana del giorno dopo.

L'amico Pippo, insistendo lungamente, riuscì a convincere una delle tante sfinite carpeteras sopravvissute alle richieste ed alle lamentele degli sfollati del suo urgente bisogno di telefonare. Non so come fece, centinaia di altre persone avevano inutilmente espresso lo stesso desiderio.

La gentilissima e corpulenta Rosy, la carpetera, ci fece segno di seguirla discretamente. Non so se immaginasse cosa avremmo trovato fuori, noi sicuramente no.

Recuperò un ombrello e attraversò la marea umana dirigendosi verso l'uscita. Seguendola a distanza la raggiungemmo fuori, sotto la tettoia divelta. La notte era buia, forse Michel aveva portato con se anche le stelle e la luna. Pioveva ancora ed il vento, ancora forte, rendeva vani tutti i tentativi che Rosy faceva per aprire l'ombrello.

Dovevamo raggiungere l'edificio di fronte, distava solo poche decine di metri. Dopo aver inciampato varie volte nei rami che ingombravano la strada, afferrammo le sue robuste braccia che mollammo solo quando arrivammo a destinazione.

Stavamo andando a telefonare nell'ufficio del direttore che si trovava all'ultimo piano, il quarto o il quinto non ricordo bene. Naturalmente l'ascensore non funzionava e le scale erano più buie della notte.

Davanti alla porta dell'ufficio ci attendeva un minaccioso custodio munito, beato lui, di una torcia elettrica. L'avremmo pagata a peso d'oro ma non osammo proporre l'affare.

Dopo aver spiegato al custodio il motivo della nostra irruzione, Rosy ci invitò ad entrare e ci indicò uno stranissimo telefono che l'uomo in uniforme illuminò con la torcia. Ci disse che avremmo potuto fare una sola, breve telefonata. A malincuore dissi al mio amico che avrei rinunciato a sentire quella che sarebbe diventata mia moglie per permettergli di comunicare con la sua.

Rassicurata la consorte, ringraziammo il custodio ed intraprendemmo il percorso al contrario. Arrivati sani e salvi all'ingresso del residence tentammo di infilare nelle tasche della dolcissima Rosy un biglietto da 10$ arrotolato a mo' di sigaretta. Non volle accettare il meritato regalo, sparì tra la folla per poi ricomparire dietro al bancone della reception. Le portammo alcune birre che accettò con un sorriso e che fece rapidamente sparire.

La fame cominciava a farsi sentire prepotentemente, nel "rifugio" non c'era niente di commestibile e non c'era modo di allontanarsi da quel posto con un qualsiasi mezzo motorizzato. Credo fosse stato imposto il divieto di transito, comunque solo un trattore avrebbe potuto circolare in quelle strade piene di rami e detriti.

Ci avevano indicato un ristorante statale a poco più di mezzo chilometro, ma sarebbe stato sicuramente chiuso. Decidemmo di tentare, l'overdose di Mojito stava provocando effetti devastanti ai nostri apparati digerenti.

Riparati da un grande sacco di plastica, inciampando nei "resti" di Michel, arrivammo davanti al ristorante seguendo l'unica tenue luce che si scorgeva nel buio più completo. Due candele erano accese sopra un tavolo. Spingemmo la porta, era aperta. L'uomo che ci venne incontro con una candela accesa in mano ci disse che potevamo mangiare arrosto freddo (diciamo Rosbif) e insalata di pomodori. Ringraziammo il locandiere, tutti i Santi nostrani e le divinità locali.

Ci sedemmo ad un tavolo vicino a quello con le 2 candele dove mangiavano e litigavano 2 siciliani, forse avevano finito di mangiare, sicuramente non di litigare. Un grandissimo ed affettuoso saluto ai due simpaticissimi siculi che si riconoscessero in questa descrizione La situazione era talmente grottesca e surreale che non potemmo fare a meno di invitarli al nostro tavolo accompagnati dalle loro preziose candele. Accettarono immediatamente ed altrettanto rapidamente ripresero a litigare mentre noi mangiavamo. I due giovani coetanei si insultavano in dialetto.

< gliel'avevo detto a questo testa di c... che avremmo dovuto anticipare la partenza > sbraitava uno < ma vaffan...., perché non te ne sei andato invece di stare sempre a rompermi i co...> ribadiva l'altro.

Li ascoltammo litigare in silenzio per un bel pezzo, prima che ci rivelassero che abitavano insieme nella stessa casa, lavoravano insieme nello stesso bar di loro proprietà, andavano sempre in vacanza insieme e, soprattutto, erano fratelli.

Dopo questa spiegazione, complici alcune birre tiepide, scoppiammo tutti a ridere ed iniziammo a raccontarci le avventure successeci durante la vacanza.

Abbandonammo il ristorante tutti insieme solo quando tornò la corrente e si riaccesero le luci. L'aria era frizzante,carica di energia. La pioggia era cessata e il vento era molto meno violento. Rientrammo all'hotel dove monopolizzammo il vecchio bigliardo quasi fino all'alba. Non li rivedemmo più, chissà dove continuarono a litigare nei giorni successivi.

Amici il racconto può considerarsi concluso. Potete facilmente immaginare come si presentasse l'Avana il giorno dopo il passaggio di Michel. Posso ribadire, per quanto visto, che la protezione civile fece un ottimo lavoro. La televisione cubana annunciò un solo morto, peraltro in una circostanza particolarmente sfortunata, e poche decine di feriti. Il Malecon era ancora più bello e "sfegiato" del solito.

Scusate gli eventuali errori

 

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